Tutte le nostre certezze




Ci coinvolge questa pioggia urbana
mentre i nostri malleoli teneri si piegano all’acqua
che scorre dall’alto e che ci prende insieme
all’incrocio improvviso di un semaforo rosso:
l’ombrello si piega un poco
un po’ per me che ti copro
e:
per il vento che nel frattempo spezza le piante
e
i rami degli alberi
e
spezza i cartelli promozionali
delle arance spagnole a buon mercato
che hanno il sapore dell’acqua
forse la stessa che adesso ti bagna le labbra
colata da ciò che tengo su per difenderci
e
per una promessa mai fatta
forse finiranno di dire, quelle labbra,
cose indicibili e pensate quando ti ritrovi da sola
armata di niente
e
guardi il mondo all’esterno
dalla stretta finestra del bagno
nella tua casa al terzo piano:
solo in quel momento hai la forza di confessarti
di augurarti che vada tutto in malora
per poter finalmente, finire
e che torni quel terremoto che ha sconquassato
un tempo la città tutta; era tutto un franare di palazzi, di candele smorzate
dal vento che adesso ritorna e si placa,
come cane mansueto alle tue gambe
dense di pelle, tornite e nascoste in un paio di calze più scure;
finalmente il semaforo ti lascia passare
e ti ritrovi stupita a pensare che ti abbia fermato solo una luce
mentre per strada nessuno calcava quel cemento slavato
dall’odore di lumache rovesciate;
solo uno sconosciuto ti copriva la testa
al tuo fianco e che forse non hai neanche notato,
tutta così presa dal mangiucchiarti il limite delle tue unghie
- ad interrogarti se proprio lì finisse il tuo corpo
e finisse te stessa, in quell’areoula bianca
ora masticata tra le tue fauci melliflue -
ed è così che sparisci come lo scroscio dell’acqua
che mi lascio alle spalle,
una volta entrato in stazione a Rossio,
e corro per le scale
malgrado il treno freni leggero
e animali addomesticati
aspettano di finire in carrozza
sul confine della linea gialla che una voce ci intima
sempre
di non oltrepassare - e così che perdo il tre
e così che perdo il treno e perdo te in direzione
opposta e contraria, persa chissà dove
ora solo ricordo annebbiato, acquoso
di quel confine di ossa sottili
che avrei voluto impastare e ritrovarmi
nello stomaco:
- dolcemente, cullarti.


(Aspetto ora un altro treno
e mi ritrovo dentro la linea,
pare il capoverso
di questa poesia:
oltre la barriera bianca del foglio
si sfalda ogni possibile ricordo
del tuo chiarore appannato
della sagoma annacquata
che per una volta difesi
contro le intemperie
della vita labile e sfuggente
nelle tue labbra umide
di cui mi sono invaghito:
mi confesso a te, straniera,
mi rintano in cose di poco conto,
perché mi fanno tremare i ginocchi
le promesse
gli accordi pattuiti,
tutte le nostre certezze).


Immagine di Andrea Ucini



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