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Alessandro Gottardo |
Non
so dirti quando arriverò, so che il treno è in ritardo, ci siamo fermati qui,
in una stazione desolata, che si vede solo il mare. Scorrono i binari accanto
alla spiaggia, si vedono gli ultimi ombrelloni dell’estate, lasciati piantati
nella sabbia, alberi di plastica, a fare ombra a nessuno. Alcuni sono ancora
aperti. Ci immagino sotto una coppia felice, un bambino che scava nella sabbia
sperando di arrivare dall’altra parte, passando per il centro della terra e
rispuntando fuori, come sognavo io…
Invece
non c’è nessuno e questi ombrelli sono come le mie parole inutili – che sussurro
alla carta tossendo inchiostro senza nessuno scopo.
Così
io pianto sulla spiaggia dell’esistenza le mie parole, a gettare ombre sui
ricordi che mi permetti di scrutare dai tuoi occhi. E che sono miei. Il mare
arriva fino a un punto stabilito e si ferma, torna indietro. Mi sono sempre
chiesto se è stata la terra a tracciare il limite, o il mare dalla sua parte. O
se si sono incontrati, a metà strada, come due labbra alla fine di una parola.
A me piacerebbe che fosse così, l’armonia delle cose, la perfetta geometria di
una conchiglia, l’esattezza di un cuore che batte in ogni corpo, la bellezza di un processo di fotosintesi.
Mi
piace credere che tutto sia stato cucito alla perfezione, e che il corpo – il mio
– sia un lembo di qualcosa di più grande che non posso capire. Ma percepisco
che sono lembo attaccato ad altra carne che sei tu.
Una
ferita che guarisce – e siamo noi.
Non
so quando il treno ripartirà, ma per ora sono qui.
E
non scendo, neanche per il mare.
Dicono
che si sia rotta una carrozza, o che c’è un treno ad alta velocità che ha la
precedenza. Ma io non ci faccio caso. Questo foglio è il vetro di una finestra
affacciata a un mondo. Che sei tu. E non puoi sparire. Ti scrivo le parole al
contrario, a sbiadire poco a poco. Così le leggerai. È bello sapere che Tu sei
luogo da esplorare con gli occhi. Con le mani. Con il corpo.
Perché
tutto mi è sempre franato tra le mani, le promesse, le speranze, le canzoni, le
lacrime, le felicità condivise, i pugni, le vite degli altri, i sentimenti – io
non sono buono a tenere unito niente: forbici che abbracciano carta, e tagliano
inesorabilmente tutto.
Ma
so che se tu sei, adesso, un posto da qualche parte, e questo non può crollare.
Perché
crollano i palazzi, gli amori impossibili, tutto.
Ma
i luoghi, no.
Rimangono
le spaccature.
Ma
noi stessi siamo una ferita che guarisce.
Allora
una vita che crolla non la si può trovare, né una speranza, un sentimento, una
persona.
Ma
un luogo, no.
Rimane
lì.
Ad
aspettare.
Come
un foglio accartocciato su una spiaggia, lanciato da un treno che all’improvviso
torna a correre, a stridere sulle rotaie, lento, verso la città, pieno di
parole che nessuno leggerà mai.
O
forse tutti.
Ma
comunque, non tu.
(Si racconta di una foglio accartocciato su una spiaggia, e di un treno che impazziva correndo sui binari. In qualche modo il vento fece la sua, quello che spingeva le onde sulla spiaggia e quello che correva dietro ai binari, cosicché la lettera tornò nel treno.
Non chiedetemi come, io non ho potere su queste cose.
Si racconta che qualcuno sta leggendo la lettera, adesso.
E quel qualcuno sei tu.)
sospiro, respiro. conosci il suono del magone. ma quello bello, che ti riempie qualcosa dentro e non se ne va più?
RispondiEliminaA me i racconti che raccontando di fogli così piacciono, anche se mi accartocciano un po' :)
RispondiElimina" Mi piace credere che tutto sia stato cucito alla perfezione, e che il corpo – il mio – sia un lembo di qualcosa di più grande che non posso capire. Ma percepisco che sono lembo attaccato ad altra carne che sei tu.
Una ferita che guarisce – e siamo noi."
è bellissimo questo pezzo :)
Sai qual è la verità? che mi sono sentita lì in mezzo, quel foglio di carta in balia del vento, carico di emozioni. E' stupendo...
RispondiElimina"Ma so che se tu sei, adesso, un posto da qualche parte, e questo non può crollare.
Perché crollano i palazzi, gli amori impossibili, tutto.
Ma i luoghi, no."
*_*