L'invenzione di te





L’invenzione di te
Di un corpo a memoria
Di parole daccapo e dal capo
Di un filo, ti lascio e tu pendi
Mi prendi, ci siamo presi
Quando non l’aspettavo
E nonostante le stanze che ci dividono
E il mare finito e la sete
L’estate, le rane nei canneti
Di Guaceto selvatica, immaginata
con l’aria tiepida che avvampa
le guance
- siamo rimasti incastrati
io e te
sostrati sottili
di parole, di lagune interiori
 – per me,Venezia, per te, Laguna
città lontana da cui giungi -
inesistente per me sino adesso
sino a quando ti ho scoperto:
come l’America
o come lenzuolo sollevato su di un letto;

(per me, tu sei questo:)
una luce tardiva
che ti colpisce nelle iridi strette
e tu vedi soltanto te stessa
un’ombra corriva lontana
e anche se non mi riconosci
sai che ti tremano le vene e i polsi
ti rimane negli occhi
un chiarore di vetro appannato:
capisci che c’ero in quel cielo
offuscato di vento,
nello schermo con cui guardi alla vita
e che adesso riporta il mio nome
e l’invenzione di me,
di parole che so,
di un corpo che daccapo
ti giunge, e allora ti chiedo
ripetimi, sino a che il deliquio s’attardi
e che la luce che ti colpiva
poi svanisca
e il mondo infine, finisca
mentre intanto ti imparo a memoria.





                                                              Immagine di Emiliano Ponzi




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