Ninna Nanna



C’è un modo per proteggerci – dicevi
Dalle mie manie
Dalla voglia di mettere in disordine tutto
E di ricominciare daccapo

Ma poi finiva che
non me lo dicevi mai,
ti perdevi tra le fila del discorso
mentre io ti mettevo in fila
al resto.

Mi avevi insegnato
Ad avere lo sguardo fermo
E le parole, anche
Mi fasciavi gli occhi di giorno
Per imparare
A vagare per casa
Senza accendere la luce
Per non svegliarti, di notte
Per non finire di perdermi
Negli spigoli più lontani
E non ritrovarmi più;

Ma forse già sapevamo
Che di fumo avremmo vissuto
Mentre un treno lontano passava
A ricordarci che
Viviamo nella dimenticanza
di quei gesti
(i miei, i tuoi di più)
Che aggiustavano tutto,
automatismi rotatori
che ci impedivano di perdere
l’attrito della sera
che ogni volta ci scivolava
su di un fianco.

E finivamo per restare
come libri aperti
impilati uno nell’altro
in un letto disfatto
- ore
a ridere di noi
e nonostante tutto
fingevamo che il resto
non fosse mai accaduto.

(sai che penso ancora
Alle tue ninna nanne:
alle parole ingabbiate
dietro labbra serrate
mentre mi addormentavo
con i libri in mano
esistevano parole
- tra me e te
Che non c’era bisogno di dire:
ecco perché non ti scrivo più
non c’è bisogno di spiegarti
di aprirti come i miei libri
di scorrere le mie dita tra le pagine
nelle tue ferite aperte,
nelle tue mancanze inespresse;
Io ti leggevo:
eri per me come pagine aperte
di un volume sgualcito
che sempre porterò in tasca
per paura di smarrirti.

I nostri capoversi
Ce li racconteremo
In silenzio
Magari in un’altra poesia
O in una ninna nanna distante
Mentre il cielo cola a picco
Goccia dopo goccia
In una pioggia tardiva
Che bagna Lisbona
E ci sfama come lumache nude


A venir fuori dai nostri gusci
in un abbraccio umido
nella lentezza salvifica
di un giorno che muore.)

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