Don't google it



Appoggio le mie parole qui, lo faccio per te.
Spero che tu te ne accorga, quando metterai questo libro a posto.
Ho preso un volume a caso e ho sottolineato tutte le lettere per arrivare sin da te.

Se chiuderai velocemente, se non ti soffermerai a leggere.
Ogni mia frase resterà un centinaio di segni rossi stretti in uno scaffale. Ho dovuto aggiungere delle lettere, che corrono su per i margini delle pagine, perché non sempre mi bastano le parole.
Potevo scriverti una lettera, o parlartene a voce.
Ma sarebbe stato avvicinarsi troppo.
Invece mi piace parlarti da lontano, quando sei sola. Muovo le labbra con un filo di voce, nessuno se ne accorge. Da vicino non potrei vederti tutta insieme, non so se puoi capirmi, vedrei solo i tuoi occhi, o le mani, o le spalle e la schiena, e più verrei vicino e più saresti sfocata, senza contorni, solo i colori. Invece io voglio vederti per intero, perfino giù per i piedi, con il mio sguardo che scorre come su due binari su di te. Così ti guardo da lontano. E ti parlo, anche se tu non mi senti.

Ho conservato i tuoi gesti, quelli che hai fatto cadere distratta intorno a te, dei libri fuori posto che hai raccolto, quelli mi somigliano un po’, degli angoli dei libri che hai ripiegato, dei posti vuoti che hai lasciato con cura intorno a te, il tuo modo giusto di sederti, dei silenzi. Li ho tracciati nella mia testa come in un libro, li ho cuciti insieme, per non perderti anche nella memoria.
Ti muovi come me.

Ogni giorno prendo un pezzo di te e lo porto via, lo nascondo nella giacca, me lo racconto quando sono solo, altrove. Cosicché non ti dimentichi mai, scrivo il tuo nome in ogni luogo, sulle tazze, sui quaderni, tra le pieghe delle dita, perché ho bisogno di sentire che ti abbraccio come non ho mai avuto il coraggio di fare, sono fuggito via, come le stelle al mattino, poco alla volta, ti ho lasciata dormire nelle lenzuola, fragile, con gli occhi chiusi, sbiadendo il cielo senza chiedere. Così.

Ora non ci sono più lettere. Sono arrivato alla fine del libro, la fine di un’altra storia, che non è la nostra. È stato un po’ come spiare, o copiare a scuola. Anzi no: direi che è stato come rubare, rubare le parole per vivere insieme un altro po’. Per non sentire la distanza, lascerei scivolare le parole dal libro per raggiungere te. Così leggendo poco alla volta, arriveresti qui, non riconoscendomi, e chiedendomi di andare via, come ho fatto sempre, perché il tuo lavoro è finito.

Appoggio le mie parole qui, lo faccio per te.
Spero che tu te ne accorga, quando metterai questo libro a posto.
Ho preso una vita a caso e ho sottolineato tutte le parole per arrivare sin da te.

1 commento:

  1. Appoggio qui i miei occhi, solo per un po'. Solo il tempo di rubare quelle parole che non trovi più, ché sono anche un po' le mie. In un modo strano, che non so spiegare. A modo mio, ci sono dentro anch'io, anche se, poi, non è la stessa storia.

    (qui è sempre meravigliosamente invisibile)

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