Si siede al tavolo e guarda oltre la finestra.
Prende il giornale – lo legge dalla fine, perché lei è mancina – e dopo poche pagine, c’è uno specchio.
Il suo volto composto da macchie grigie e nere – e interspazi bianchi – schiacciato in due dimensioni su un foglio su cui scorrono righe di garamond.
C’è qualcuno accanto a lei, nella foto: lunghi capelli biondi su una barba incolta, occhiaie – occhiaie nere – sotto due occhi vacui.
Anniversario della morte di Kurt Cobain.
Le sue chitarre sono ancora lì, i plettri sparsi per casa, le corde rotte infilate tra le pieghe del divano. Come la neve copre ogni cosa – trasforma ogni luogo in un’utopia senza tempo – così il ricordo non è andato via. E’ rimasto ad aleggiare in quella casa, negli ultimi respiri che giacciono tra i mobili e il soffitto e nelle ultime siringhe vuote, nell’eroina che non si è più iniettato.
Si alza, poggia la fender sulle sue ginocchia, e muove le dita affusolate sulle prime tre corde. Canta con un briciolo di voce, come se non volesse svegliare l’ossigeno che le sta intorno.
“Hey
Wait
I've got a new complaint
Forever in debt to your priceless advice..”
Getta la chitarra sul tappeto, quasi vicino alla sua caviglia – rischia di farsi male – e si avvicina alla porta. La apre, ed esce.
Fiocchi di neve cadono in gran numero attorno a lei, ed alcuni le sfiorano il viso, diventano lacrime – lacrime del cielo. Non riesce neanche a vedere le nuvole per l’immensità di quella pioggia cristallizzata. Bianco. Solo bianco. I piedi cominciano a raggelarsi, non indossa neanche le calze – è uscita così, d’istinto, d’istinto – ma non sembra accorgersene. Si getta per terra e la neve copre il suo corpo. Quasi seppellita, muove le braccia fin sopra la sua testa – fin sotto i fianchi – e il suo corpo chiaro ora per osmosi diviene quasi neve. Per un attimo non respira più. Non vive.
“Mamma!”
Ritorna alla vita. Lancia uno sguardo verso la porta, eccola lì. Frances è senza pantofole e la guarda come se fosse lei la persona adulta.
“Mamma ma che fai? Vieni! Devo farti sentire il mio ultimo pezzo!”
Si alza, ha i capelli pieni di brina – di fiocchi di neve gelidi – e cerca di togliersela di dosso con le mani. Si accorge di quanto faccia effettivamente freddo – di come le caviglie pulsino per il gelo che le circonda – ed entra in casa, lasciando piccole pozze di acqua all’ingresso.
Segue Frances nella stanza – non ci entra spesso, non vuole rivedere la strumentazione di Kurt - e si siede per terra, lasciando un alone di liquido trasparente, acqua sporca.
“Tieni questo, asciugati stupida.”
Afferra al volo l’asciugamano.
Frances prende in mano la chitarra – è molto più brava di lei, seppure è giovanissima. Forse perché ha i suoi stessi occhi, gli occhi oceano di Kurt – e comincia a suonare.
In realtà, lei non ascolta.
Ripensa agli ultimi giorni insieme, ripensa ai lacci emostatici tra le lenzuola, all’assuefazione e agli aghi che facevano male come il loro amore-odio. Ripensa ai sensi di colpa scacciati via con i discorsi sul niente, alla volta che riempirono la vasca con banconote da cento che fecero volare in aria – proprio come la neve, ora.
E oggi si sente rinata.
C’era scritto sul giornale, ma non ha avuto bisogno di leggerlo, il suo avvocato l’aveva già avvertita: il caso Kurt Cobain era stato archiviato.
Il caso Kurt Cobain era stato archiviato come suicidio. Archiviato.
Non correva più il pericolo di essere scoperta. La fitta trama del suo infimo piano era riuscita perfettamente. Era riuscita a scampare alle accuse, ai processi, alle manifestazioni di disaccordo dei fan di Kurt. E finalmente ora Asia può godersi tutto il capitale del marito, e far crescere sua figlia come vuole lei.
Mentre canta, Frances la guarda negli occhi. I suoi occhi. Gli stessi occhi di Kurt. Non lo sguardo vuoto degli ultimi giorni, ma quello vivo di quando lo incontrò la prima volta, mentre la sua sensibilità si scioglieva in uno spettacolo a Seattle, - si scioglieva in – bolle di sapone che sfioravano gli spettatori e scoppiavano al loro contatto.
Ripensa alla lettera lasciata ai fan, manomessa. Alle valigie piene di soldi inviate agli amici per fare silenzio, ripensa al funerale – forse solo lì si è sentita in colpa.
Frances non ha mai palesato la mancanza di un padre. Eppure ora, lo rivede nei suoi occhi, come se Kurt volesse uscire da quelle pupille e strangolarla per il male che gli ha fatto.
Per non avergli concesso una famiglia, ciò che più lui desiderava.
Per non aver potuto far da padre a Frances.
Per avergli tolto tutti quei ricordi che lui desiderava – lui, Kurt – le passeggiate nei boschi di Aberdeen, i giochi infantili appena svegli, i regali di natale.
Ma la neve tra qualche giorno si scioglierà, e mostrerà i cadaveri – i teschi, le cavità oculari vuote – nascosti.
Nessuno avrebbe più accusato lei - finché nevicherà - di aver ucciso Kurt Cobain.
“Allora, ti piace il mio nuovo pezzo?”
“Sì Frances. Molto emotivo. Per chi l’hai scritto?”
“L’ho scritto per papà, mamma. L’ho scritto per mio padre.”
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