Quando
sento la musica quando scrivo quando sono a casa quando mi siedo nel soggiorno
per terra sul tappeto quando l’ho appena lavato, mi capita una cosa strana che
a dirtelo non ci riesco, ma provo a fare un esempio.
Un
uccello che vola quando piove.
Ecco,
io mi sento costretto tra l’attrito della pagina e le gocce della musica e non
ci capisco più niente di cosa devo fare tra l’acqua e il vento e l’aria che mi
prende e le parole che mi vengono fuori, dappertutto, quelle che tiro da dentro
di me e quelle che raccolgo come le gocce e poi pure le parole che non conosco
e che prima o poi dirò – insomma, non hai capito, lo sapevo che la cosa dell’esempio
era una cazzata, lo sapevo proprio.
Oh,
io c’ho provato.
Ma
comunque.
Ho
questo enorme problema con la casa, non ci accettiamo, ho appena cambiato le
lampadine, ma quelle si fulminano, capita sempre quando inizio a scrivere. Ho iniziato a pensare che è forse perché pure
la cucina me lo dice: Non scrivere, non
scrivere più che il talento non ce l’hai e il pane a casa, tu, come lo porti?
Sotto il braccio, le rispondo.
E
sono andato in bagno. E pure in bagno dopo che scrivevo stretto tra il
lavandino e il bidet si è fulminata la luce e allora sai che ti dico, caro
bagno, tu che fai lo scontroso e ti sei alleato con la cucina vedi adesso come
te lo dico, io di qua non me ne vado
finché non riaccendi, ho detto.
Non
si è riacceso niente.
Me
ne sono andato.
Amarissimo.
E
alla fine sono venuto in soggiorno e pure qui la luce a poco a poco si è
spenta, si è affievolita, come se qualcuno ci stesse soffiando su da lontano e
quindi mi sono abituato al buio, e allora ho pensato che i soggiorni sono più
simpatici, la tipa di quella volta in stazione secondo me deve essere un
soggiorno perché quando è andata via da me lo ha fatto un passo alla volta,
lentamente, senza correre – nessun taglio netto. E allora adesso alla cieca ho
scritto questo sproloquio che so già che finirà con una parola bellissima, altrieri, che sta già alla fine della
pagina che me la sono appuntata prima per ricordarmi di quando dovevo pagare le
bollette della luce, proprio l’altrieri.
Che
forse vuoi vedere che le cose della bolletta e delle lampadine che si fulminano
sono collegate?
Roba
da scienziati, io non ci provo neanche, a districare questa matassa. Io so solo
che volevo scrivere, ma tantissimo tempo, da ere geologiche e glaciazioni
temporanee, prima che si fulminassero le luci, da quella volta della tipa in
stazione, da quando sono andato a fare l’attore, da quando ho iniziato a
scrivere i miei trentotto romanzi su carta. E non lo so proprio quando finirò
questa storia della penna, io penso che prima o poi debba finire perché mi sono
stancato proprio. Forse sai, ho già deciso quando accade questa cosa di
finirla.
Altrieri.
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Emiliano Ponzi |
ovviamente, visto il titolo, ho letto solo l'ultima parola. soprattutto per evitare la parte scritta nel bagno (casomai fosse rimasto qualche schizzo di cacca o pipì). e ho fatto bene a fare così, oddio, magari avrei fatto bene a leggere tutto, ma sono contento comunque di aver letto almeno l'ultima parola che davvero è magica. la finisco.
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