Nella scatola più grande ci sono tutte le nostre foto: una.
Una foto scattata a caso dei nostri vestiti confusi sul pavimento, noi non ci
siamo neanche. Dov’eravamo, noi? Ho scelto una scatola così grande perché non
riesco a metterla con le altre cose, non voglio che sgualcisca tutto il resto,
che quella roba disordinata respiri ricordi che non voglio portarmi via. Sta
bene dove sta.
Nelle innumerevoli scatoline davanti alla porta ci sono tutte
le cose che erano per te e che non sapevi: tutte le lettere scritte quando non
c’eri, gli elenchi della spesa che continuavo a fare per due, due ciabatte, una
lampada, la mia camicia che volevi, un mazzo di fiori, un libro nuovo con i
miei propositi per me, dei pezzi di un puzzle che non costruiremo mai. Non te
li lascio, ma non me li porto neanche via. Li lascio a caso in una decina di
posti di una città lontana, ci vado oggi con l’auto, lancio le scatole dalla
macchina e poi torno, un babbo natale in vettura. Così i ricordi rimangono lì a
non intaccare i miei sogni. Visto che tu non li meriti e io li ho già espressi.
Nelle tredici scatole sulla mensola ci sono le tue cose. Un
peluche, alcuni libri, le cartoline e i disegni. Le ho inscatolate con i guanti,
al buio, non volevo vedere – non volevo rimanere in niente. Rimangono qui.
In quella busta ci sono le mie mani, cioè le mie impronte, le
mie mani, no. Così puoi ritagliarne la sagoma e capire l’assenza, incollarle
dappertutto. Impronte di mani che toccano, che sfiorano, che baciano, che
pregano, che salutano, che mi rovistano dentro per cercare di trovare, mani che
aprono il frigorifero, mani che ti sollevano, mani che guardano. Mani che non
ci sono più in quei tratteggi sghembi su carta riciclata.
Questa valigia qui è l’unica che mi porto dietro. Sembra
vuota, ma non lo è. Mi porto via i desideri, l’ossigeno vissuto, le riflessioni
condivise, i cieli comuni, gli sguardi, le attenzioni, i colori. Porto tutto via
con me. Porto anche le mie parole, per te, tutte e anche queste qui, me le arrotolo nella giacca, a un passo dal cuore. Stanno bene solo qui.
In camera da letto, infine, c’è una miriade di persone.
O forse due.
O voi stessi ripetuti innumerevoli volte, fa lo stesso.
Anche se non guardo, non
riesco a fare a meno di sentire la porta sbattere e i vestiti cadere. In quel
momento, dov’eravamo, noi?
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Beppe Giacobbe |
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