Il Giovane Me - 64



i primi appuntamenti sono sempre…strani. sì insomma, diciamo la verità. magari lei ti ha chiesto di accompagnarla a comprare un libro e siccome tu sei un esperto allora accetti, oppure è il contrario, inventi tu la scusa, solo che se accade a me, lo so che sto inventando una scusa, invece quando sono io a ricevere proposte così, lento come sono, non lo capisco mai. invece poi è proprio un appuntamento. bell’e buono.
e quindi ci ritroviamo come due sconosciuti con degli scaffali tra di noi, come al fronte, solo che non ci sono pietre o sassi e terra, ci sono pagine a coprirci.  io dico sempre troppo - troppo, o troppo poco. non mi piacciono le mezze misure. magari passiamo davanti al reparto di filosofia e lo vedo, voluminoso quant’è, la critica della ragion pura di Kant, e preso dalla gioia di aver trovato un amico, mi metto a citarne un pezzo, e così faccio la figura dell’idiota, perché lei magari di Kant non ha mai saputo un granché, e quindi niente.
c’ho la patente dell’idiozia, esame superato a pieni voti.
oppure parlo troppo poco. se mi si chiede di scegliere tra due libri, per me è una pena. fatemi scegliere tra giorno e notte, tra due colori, due strade, due modi di scrivere, due avverbi, due mezzi di trasporto, ma non fatemi scegliere due libri, matto come sono mi metterei a leggerli entrambi contemporaneamente, una parola di uno e una dell’altro, per non offenderli, non mi chiedere di scegliere, ti prego, piuttosto uccidimi.
soprattutto se i due libri sono qualcosa come il giovane holden - che sarei io - e il giovane werther - che sarei anche io - come faccio a scegliere tra due parti di me, è impossibile, è come se vi chiedessi di scegliere tra le vostre due braccia, e voi mi rispondereste che preferite perdere la sinistra, tanto non ci scrivete con la sinistra, e invece io, pazzo come sono, uso entrambi le mani, sono mancino con la scrittura e un altro mucchio di cose, ma per stringere la mano alla gente devo usare la destra, e forse sarebbe un sollievo non averla così non stringerei la mano a nessuno, non conoscerei nessuno, perché una stretta di mano è l’inizio di un rapporto, tranne con quella ragazza orientale - magnifico, con lei ci siamo semplicemente inchinati un po’, non potrebbe essere sempre così?
comunque, non mi taglierei nessun braccio. non potrei scegliere, così come con i due giovani. holden e werther. ora ce li ho qui davanti, belli come li ho immaginati, attenti a ciò che farò.
cavolo, che situazione.
così cito la storia del vero titolo del libro di salinger, che in realtà in inglese si chiama the catcher in the rye, che vuol dire l’acchiappatore nella segale, e così in italia hanno pensato che fosse cacofonico, tra l’altro catcher in inglese vuol dire un mucchio di cose diverse ora, una figura del baseball, allora in italia si chiama il giovane holden. quanti ricordi con quel libro, non potete immaginare. non è neanche mio, io non ce l’ho, me l’ha prestato quel buon cuore del mio amico F., brav’uomo. ma devo comprarlo, solo che ogni volta invece di investire i miei risparmi in un libro che ho già letto, ne compro uno nuovo - mi pare logico, no? per me no, ma per voi credo di sì.
si desidera sempre ciò che non si ha ancora. logico.
e poi le dico anche che in francese il libro si chiama Attrape-coeur, cioè il rubacuori, io penso sia limitante, sembra un harmony così. lei ride. 
e l’altro libro anche, Goethe è magnifico in quel libro, non posso scegliere. neanche quello è mio, l’ho preso dalla biblioteca. e che diamine, sono una persona triste. non possiedo due libri che adoro.
werther e holden mi guardano male, io chiudo le palpebre, giro gli occhi e mi guardo male anche io, dall’interno, i miei stessi occhi puntati nel cervello.
interiormente potrei anche scegliere, ma davanti ai due libri, no.
mi piace tanto che sia stato usato l’aggettivo giovane in tutti e due, che per me contiene dentro mille sfaccettature: addolorato, malinconico, triste, disadattato. pieno di problemi. giovane.
azzardo anche un discorso sulle differenze e similitudini tra i due romanzi, poi però mi arresto: come ti ho detto, parlo troppo - troppo o troppo poco.
lei mi guarda con quello sguardo che non saprei dirvi se è meravigliata o confusa, perfino spaventata, probabilmente c’è una sensazione umana che non abbiamo mai catalogato ma che esiste, ed è proprio quella lì, per colpa del cattivo lavoro degli avi non posso dare un nome a questa cosa, impazzisco quando capita.
chi ha scelto a cosa dare un nome? perché alcune cose sono state lasciate fuori, come frutta fresca che poi è marcita.
ecco perché invento sempre neologismi.
niente, alla fine li ha presi tutti e due. uno gliel’ho regalato io e l’altro se l’è comprato lei, ma le ho specificato che NON SI DOVEVA CAPIRE QUALE ERA IL MIO REGALO E QUALE ERA IL SUO ACQUISTOil mio regalo era un viaggio tra i due romanzi, sebbene non sarà mai né uno né l’altro. insomma, in futuro non dovrà mai pensare che gli ho regalato uno dei due giovani, mi sarei sentito fregato.
mi sento sempre fregato nelle relazioni umane. voi no?

3 commenti:

  1. Le tue parole mi si appiccicano addosso..lo sai?

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  2. non so se tornerai a leggere ma ... grazie! :)

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  3. I primi appuntamenti portano con loro il primo vero ricordo dell'altro. I più belli, per me, sono quelli che fanno finta di non esserlo, ti ci trovi dentro e, il più delle volte, è un casino uscirne :)
    Tu porti dentro molto più che due personaggi d'inchiostro. Loro sono in bianco e nero, come te, qualche volta, ma la cosa bella è che tu i colori li porti negli occhi curiosi con cui guardi il mondo.

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